Il vuoto e la riscossa

«Avevo tutto ma non avevo niente: mancavo io». Una giornata con gli scout in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Nel laboratorio a montare grucce, i ragazzi raccontano le loro storie. E con loro si rivive la Pasqua

I giorni scorsi sono stato insieme ai miei ragazzi scout in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Non sapevo nulla del metodo educativo utilizzato, delle attività che si sarebbero svolte, di come vivono. Semplicemente ero stato provocato dalla testimonianza che uno di loro aveva fatto nella mia parrocchia, seguita da una cena insieme, durante la quale gli avevo chiesto: «Cos'è per te la Pasqua?». Lui mi ha risposto: «Da quando sono entrato in comunità fino a quando uscirò, e anche dopo, per me è Pasqua tutti i giorni. Perché, se è vero che la Pasqua è il fatto di Uno che è risorto, io in comunità sto vedendo rinascere la mia umanità». Colpito dalla cena e da alcuni suoi giudizi, ho deciso di andare a vedere e stare con loro.

Il primo impatto con il luogo, che ospita più di 140 ragazzi e 80 ragazze, è imprevisto: una bellezza sconfinata per la cura del bello. Subito penso: «Qui dietro c'è Qualcuno». Arriviamo all’ora di pranzo ed entriamo in sala: non vedevo una tavola apparecchiata con così tanta cura da mesi! Ci sono bouquet di fiori, tovaglioli avvolti in contenitori fatti a mano e ricamati, un'attenzione alla posizione dei piatti e dei bicchieri sulla tavola, che mi hanno lasciato in silenzio. E prima di mangiare, il momento di preghiera, che scandisce la giornata: i Salmi cantati da uomini feriti e addolorati per gli errori commessi, eppure la preghiera emerge limpida come il grido e la domanda di una riscossa nella vita, di un inizio nuovo, di un perdono.

Il pomeriggio mi metto al "laboratorio" dove si costruiscono grucce per abiti; ne faccio almeno mille in quattro ore, sempre seduto, ma questo gesto così banale e meccanico inizia a diventare luogo di dialogo. Uno di loro mi parla della sua vita giovanile: «Avevo tutto e non avevo niente: mancavo io!».
A un certo punto, si siede accanto a me un ragazzo che, dopo un breve dialogo, decide di raccontarmi la sua vita, senza censurare nulla. Un dolore profondo, tante perdite, numerosi sbagli, fino alla droga che lo ha reso indifferente a tutto e tutti, persino alla donna che diceva di amare. Ma dentro il suo racconto, a un tratto, mi parla della sua famiglia adottiva, di quella "vita" assaporata che lo aveva travolto, dell'esperienza di GS, poi abbandonata, ma che l'ha segnato per l'aver intravisto qualcosa che non riesce più a dimenticare.
Scopro che conosce alcuni miei amici. Mi chiede di raccontargli la mia vita. In comune abbiamo una cosa: quel "vuoto" che urge e grida di poter essere riempito. Quel vuoto che lui ha vissuto quando, inspiegabilmente, aveva tutto (donna, soldi, case, auto…): non sapeva come starci di fronte. Questo lo ha fatto crollare: tutti i tipi di distrazione possibili, fino alla comunità.

Mi tornano alla memoria certi volti amici, uno sguardo che mi ha incontrato e che, instancabile, mi fa vibrare il cuore colmando quell’abisso di nostalgia che spesso invade anche le mie giornate. Stiamo tutto il pomeriggio insieme e, a fine cena, torna a cercarmi mentre prendo il caffè: mi racconta quell'ultimo pezzo della sua vita che il pomeriggio aveva censurato.
Rimango stupito nel vedere come, anche in un luogo così, uno possa riconoscersi amico: non tanto per l'esperienza condivisa del movimento in un tempo più o meno recente, quanto piuttosto per il bisogno di trovare una risposta al desiderio del proprio cuore. Risposta che questo ragazzo ha intravisto nel suo padre adottivo e in alcuni amici che vanno a trovarlo, perché, come mi ha detto lui, «vivono l'esperienza di Cristo e quindi tornano: solo loro». Questo lo interroga, e non lo lascia in pace.

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Intuisco di più cosa voglia dire che Cristo è Risorto e quindi è speranza nella vita: anche in un'esistenza disperata, come quelle che ci sono qui. Ma che ci sia quell’amico che ti viene a trovare pur con tutti i tuoi errori, che ci siano i volontari, lo sguardo della suora che li ama e li corregge, la presenza stessa della comunità, la possibilità di ricominciare nonostante tutto... tutto questo, senza il fatto di Cristo, non esisterebbe.
Loro ne sono consapevoli e, per come riescono, si aggrappano a questa possibilità di ripresa umana, che ha dentro di sé e vive di uno sguardo divino, della "Provvidenza" come dicono loro. In questi giorni il mio cuore ha tremato di fronte alla possibilità del riconoscimento di Cristo in quel luogo, che continua a fare compagnia al mio cuore.
Davide